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Le campagne della bassa bergamasca a fine 1800

Sempre Piero Perego e Ildebrando Santagiuliana descrivono come era l'ambito della campagna trevigliese alla fine dell'Ottocento. E' una realtà storica presente ad Ermanno Olmi, che ben la rappresenta nel corso del film

« (...) Furono realizzati dissodamenti e bonifiche, delle quali l'ultima e forse la più rilevante fu quella già ricordata della Valle del Lupo; ma la grande massa di lavoro che fu poi compiuta dai singoli contadini, e che consistette in infiniti miglioramenti del terreno, sfugge a una precisa definizione e forse rilevabile indirettamente in un certo mutamento del paesaggio, perchè, dove la nostra campagna era tutta ondulazioni di dossi e pendii punteggiati di macchie e di alberi antichi, fu resa perfettamente pianeggiante fra filari e scacchiere di gelsi. Vennero introdotti nuovi attrezzi e macchine, furono costruiti essicatoi e nuovi fabbricati rurali.

La produzione di cereali abbandonò praticamente le coltivazioni di miglio, meliga, orzo, ecc., sempre meno esigibili sui mercati, per restringersi alle più economiche: il frumento, che raggiunse a fine secolo una resa media di ettolitri 11 per ettaro, e il granoturco che diede, sempre per ettaro, ettolitri 25,50.
Scomparvero le distese azzurre e gialle del lino, rimaste in seguito nella parte bassa della pianura cremasca e cremonese, mentre si diradavano gli alberi da frutto e andava definitivamente cessando il vigneto; conseguenza delle malattie cui andò incontro la vite e della vittoriosa concorrenza dei vini forestieri, facilitata dai nuovi mezzi di trasporto.

Si incrementava sempre più la coltivazione degli ortaggi, specialmente delle cipolle, dell'aglio e cavoli verza mentre l'allevamento dei bovini toccò qui punte fra le più alte della provincia e infine la produzione della foglia di gelso e l'allevamento del baco da seta raggiunsero il primato.

Intendiamo insomma dire che la produzione globale dell'agricoltura trevigliese e il reddito agrario ritrovarono presto un buon livello e che, nei decenni successivi agli anni sessanta, fino alla prima guerra mondiale, pur tenendo conto delle crisi parziali e delle parziali fortune che incontrarono, si mantennero generalmente soddisfacenti.

Non altrettanto buone furono invece, per lungo tempo, le condizioni di vita della popolazione rurale.
I sistemi di conduzione tradizionali erano statoi quasi tutti abbandonati e sostituiti da un tipo di contratto a grano e mezzadria, già in sè oneroso per il contadino, ma ulteriormente aggravato dall'obbligo dell'allevamento dei bachi da seta, da prestazioni di giornate di lavoro e da sommistrazioni di polli, uova e primizie.
L'allevamento dei bachi doveva essere fatto presso la casa colonica e, mentre il contadino doveva provvedere all'acquisto del seme, alle spese delle tavole (spesso a noleggio) e ad accudire con notevole impiego di lavoro, all'intero ciclo produttivo, era poi tenuto a devolvere metà utile al padrone, non avendo che raramente la possibilità di ricavare un forte guadagno personale aumentando la produzione, giacchè, data la diffusione degli allevamenti, il costo della foglia era assai alto, nè ne era facile l'acquisto.

A ciò si contrapponevano case coloniche vetuste e malsane, scarsità di acqua potabile presso le stesse case, affollamento degli alloggi rurale.
Molte delle nsotre cascine d'altronde, ancora oggi esistenti, risalgono per la costruzione almeno ai secoli XV e XVI, ed è il caso dell'Agostana, dell'Ombrella, della Colpana, della Ronchi ecc., mentre altre sono adattamenti di strutture millenarie (San Zeno, San Maurizio, Sant'Eutropio...) e la maggior parte di esse, nell'epoca di cui si tratta, non erano state ammodernate da lungo tempo.

Mancava poi a sostenere il contadino l'assistenza del credito, com'è logico in un sistema bancario che presta al capitale, ma difficilmente all'iniziativa, onde si ricorreva sovente all'usura, sempre esosa, anche quando si svolgeva nelle piccole forme apparentemente bonarie del sacco di granoturco prestato contro restituzione di un sacco di frumento o del marengo dato all'interesse di un uovo al giorno, cioè di un soldo.
Mancava infine ogni provvidenza assicurativa, mentre l'opera di taluni enti, come ad esempio del Comizio Agrario di Treviglio, che pubblicava anche un suo Bollettino, era di qualche frutto, ma sproporzionata alla vastità del problema.
Tutto ciò aveva luogo nel quadro di un'economia generale povera e di una situazione sanitaria spesso difficile (...) »

(Piero Perego, Ildebrando Santagiuliana. Storia di Treviglio. Parte Seconda. Edizioni Pro Loco Treviglio, 1987)